Il piano Usa per realizzarsi ha bisogno che i tassi scendano e di parecchio: non era vista male quindi la correzione iniziale delle borse che ha condotto ad un calo dei rendimenti grazie ai forti afflussi di acquisti di treasury che calamitano i flussi in uscita dalla borsa. Il meccanismo però non teneva conto dell’enorme mole di debito detenuta dai paesi colpiti dai dazi e che hanno negli ultimi due giorni iniziato a vendere treasury in modo massiccio con i rendimenti schizzati all’insù di oltre 50 centesimi. Il messaggio forte e chiaro è stato recepito e ha messo davanti alla realtà l’amministrazione Usa: tutto ciò è stato amplificato dal calendario pesante di aste Usa di queste settimane con quella a tre anni coperta con difficoltà. Le prossime sono a medio – lungo e lunghissimo termine: una mancata copertura potrebbe fare danni significativi.
In un recente lavoro due economisti (uno della Fed di Minneapolis e l’altro dell’University of Wisconsin-Madison) mostrano come, contrariamente all’opinione prevalente, di fronte a uno shock tariffario imposto dal governo sia ottimale perseguire una politica monetaria espansiva ma ciò è vero solo in teoria, nella pratica non si possono abbassare i tassi col rischio di disaffezione dei sottoscrittori del debito.
Per chi fosse interessato ad approfondire
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Inoltre il dollaro svaluterebbe: è vero che ciò aiuterebbe le esportazioni Usa ma diminuirebbe ancor più l’interesse degli investitori esteri per i treasury.
Un modo per evitare un aumento dei rendimenti sarebbe quello di un massiccio intervento della Fed a supporto oppure obbligare le banche Usa a comprare oltremisura treasury (con tutti i rischi connessi).
Dunque con un ennesimo colpo di scena, gli Usa fanno sapere che ridurranno temporaneamente le nuove tariffe su molti Paesi, anche se le ha aumentate ulteriormente nei riguardi della Cina. La forte impennata dei rendimenti registrata questa settimana e le notizie di ingenti liquidazioni di obbligazioni avevano sollevato preoccupazioni sul deterioramento della liquidità del mercato.
Stando a quattro fonti Bce, la crescita economica della zona euro, colpita dai dazi, potrebbe subire un calo molto più marcato rispetto a quanto inizialmente stimato e la volatilità potrebbe anche trascinare l'inflazione verso il basso nel breve termine. Secondo le minute dell'ultimo Fomc di marzo rese note ieri sera, l'economia statunitense corre il doppio rischio di un aumento dell'inflazione e di un rallentamento della crescita, scenario che porrebbe i policymaker di fronte a “difficili compromessi”. I futures sui Fed Funds prezzano 80 pb di allentamento entro dicembre dai 100 scontati a inizio settimana.
Occhi anche in questo senso ai numeri sul Cpi di marzo che saranno resi noti nel primo pomeriggio, sebbene non incorporino ancora l'impatto dell'escalation della guerra commerciale.
I prezzi al consumo cinesi sono scesi per il secondo mese consecutivo a marzo e quelli alla produzione mostrano una spirale deflazionistica, tra le preoccupazioni per l'accumulo di esportazioni invendute nella prospettiva di una guerra commerciale.