Tra i dati più monitorati della settimana, soprattutto per le sue implicazioni in chiave Bce, c'è la stima di dicembre dell'inflazione della zona euro che verrà diffusa alle 11 da Eurostat. Le attese mostrano una dinamica dei prezzi in risalita a 2,4% dal 2,2% di novembre. L'accelerazione è attesa anche dopo che ieri l'analogo indicatore tedesco ha mostrato un incremento armonizzato annuo a 2,9%, oltre il 2,6% del consensus.
Venerdì dati occupazionali americani.
Al termine di una seduta in cui l'obbligazionario europeo ha mostrato di ignorare gli spunti macro - Pmi e inflazione tedesca in testa - il rendimento del benchmark febbraio 2035 si è fermato a 3,58% e lo spread su Bund a 112 punti base, livelli da cui ripartirà il mercato italiano oggi.
Atteso il risultato del sondaggio a cura della Bce sulle aspettative dei consumatori a novembre relative a inflazione e crescita. Secondo una ricerca di Francoforte resa nota ieri, è improbabile che l'eccezionale tenuta del mercato del lavoro dell'area dell'euro sia destinata a durare, poiché i fattori una tantum che ne hanno determinato la forza si stanno affievolendo, anche se non si intravede all'orizzonte un drammatico indebolimento.
Dollaro vicino ai minimi di una settimana, con il mercato che si chiede se l'amministrazione Trump imporrà dazi meno aggressivi di quelli promessi in campagna elettorale.
L'indice Ism, stando al consensus, dovrebbe mostrarsi stabile a quota 48,4. Ieri l'analogo indicatore Pmi è stato rivisto al rialzo a 49,4 dal 48,3 della prima lettura, evidenziando un'accelerazione ma rimanendo ancora sotto il livello 50, in zona contrazione.
Sempre ieri, i dati settimanali sulle richieste di sussidi di disoccupazione sono risultati ai minimi da 8 mesi, in un mercato del lavoro che continua a mostrarsi in buona salute. Il rapporto si è aggiunto a una recente serie di statistiche economiche positive, tra cui quella sulla spesa dei consumatori, rafforzando le previsioni della Federal Reserve di un minor numero di tagli dei tassi di interesse quest'anno negli Usa.
La banca centrale statunitense ha ridotto il tasso sui Fed funds di 50 punti base a settembre scorso - dall'intervallo 5,25%-5,50% in cui si trovava dal luglio 2023 - e poi di un altro quarto di punto nelle riunioni di novembre e dicembre.
Nelle proiezioni pubblicate il mese scorso - quando ha abbassato i tassi al 4,25%-4,50% - la Fed ha ridimensionato il numero di tagli previsti per quest'anno, ipotizzandone solo due rispetto ai quattro visti a settembre e prevedendo una pausa a gennaio.
Lo stesso Powell ha sottolineato la resilienza dell'economia statunitense e la lentezza con cui l'inflazione sta scendendo verso l'obiettivo del 2%. Il banchiere centrale ha anche detto che è troppo presto per dire come le politiche della nuova amministrazione trumpiana - che si insedierà ufficialmente il 20 gennaio - influenzeranno l'economia.
Guardando il mercato dei futures sui Fed funds, gli operatori scontano circa l'89% di possibilità che il Fomc rimanga fermo al meeting in programma a fine mese, mentre le probabilità di un taglio alla riunione di marzo sono di poco superiori al 50%. L'ammontare di tagli nel 2025 è stimato in 50 pb.